Il segretario del Pd deve cambiare pagina


Il PD in provincia di Reggio Calabria ha ottenuto il 12,74% dei voti, vale a dire 38.332 consensi. Sette candidati su undici si sono attestati sotto le 1.500 preferenze, con delle performance in negativo che rasentano il ridicolo: alcuni addirittura non hanno superato i 100 voti su base provinciale.
Quali sono le ragioni che hanno determinato una simile débâcle? Perché non si è costruita una lista un tantino più forte? Tutto questo è sufficiente per chiedere a gran voce le dimissioni in blocco della classe dirigente provinciale e regionale del partito e dare finalmente spazio a nuove energie? Cos’altro deve accadere per convincere il nostro segretario nazionale che occorre voltare pagina?
Sono numerosi i tesserati che vivono con estremo disagio l’ingessatura cui è costretto il PD in Calabria e, in particolare, nella provincia di Reggio. Un anno addietro erano in tanti quelli che speravano che si potesse costruire un soggetto politico nuovo, “leggero” (non delle tessere come l’attuale!) e, quindi, capace di liberare le energie e le innumerevoli potenzialità che iscritti e simpatizzanti sono in grado di esprimere.
Il partito non è capace di attrarre forze nuove e fresche e quelle che ci sono pian piano si allontanano perché mortificate da una gestione finalizzata esclusivamente a garantire ruoli e spazi sempre ai soliti personaggi che “ostinatamente resistono alle sollecitazioni dell’inps”.
Non si può continuare ad assistere passivamente al lento e inesorabile declino del PD (in provincia e non solo) e con esso alle nobili idee che ne hanno caratterizzato la nascita; è impossibile accettare in silenzio il modus operandi di questi pseudo dirigenti, i quali anziché utilizzare il partito per servire la collettività si servono di quest’ultimo per raggiungere finalità tutt’altro che collettive; non è possibile continuare a subire discriminazioni politiche soltanto perché si desidera agire, pensare e decidere in relazione alle concrete esigenze del territorio, senza rispondere ai comandi di chi è abituato a calare dall’alto decisioni e strategie.
Un partito che vuole essere veramente popolare deve stare tra la gente, ascoltarla e tradurre le esigenze di cittadine e cittadini in azioni politico-amministrative concrete. Dalla base devono partire gli input necessari alla pianificazione delle strategie a livello provinciale, regionale e nazionale, non viceversa. Questa inversione dei ruoli ha prodotto un forte scollamento tra la classe dirigente e la collettività, creando un pauroso vuoto nell’ambito del quale si stanno buttando a capofitto delle forze politiche regionali come la Lega Nord, le quali, invece, continuano ad aumentare i loro consensi.
Sembrerà strano, ma il tanto osannato meccanismo delle primarie ha finito per irretire i dirigenti nazionali del partito, i quali, avendo bisogno dei consensi per continuare a ricoprire i ruoli che occupano, non riescono a trovare la forza necessaria per dare vita a quel rinnovamento di cui il partito avrebbe bisogno: chiedere apertura e cambiamento ai vertici del PD, quindi, equivale a chiedere al tacchino di ridurre i giorni che mancano al Natale.
Occorre pertanto rivedere i meccanismi di rappresentanza all’interno del partito. Le primarie, se utilizzate in modo corretto, possono rappresentare un formidabile strumento di partecipazione popolare; se, invece, sono gestite da personaggi senza scrupoli -che danno vita a brogli e trasversalismi di ogni genere-  si traducono inevitabilmente in un muro di gomma impossibile da superare con metodo democratico.

Giuseppe Iaconis

Pubblicato sul quotidiano “Calabria Ora” in data  4 aprile 2010