Di figlia in padre – Dialogo intorno all’adolescenza


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PREMESSA

Questo libro non si propone di fornire una spiegazione scientifica al complesso fenomeno dell’adolescenza, né di suggerire i possibili trattamenti psicoterapici, i quali competono a specialisti e studiosi dell’età evolutiva.
Lo scopo principale è quello di dimostrare come una comunicazione efficace tra genitori e figli, incentrata sulla testimonianza delle esperienze di vita, piuttosto che sull’astrattezza e i formalismi, sia in grado di prevenire o attenuare i più diffusi disagi giovanili.
La rappresentazione genuina di dubbi, inquietudini, emozioni e sentimenti può aiutare a capire se stessi e gli altri. In tale ottica la scrittura rappresenta un formidabile strumento, poiché è in grado di favorire un elevato livello di complicità, capace di scardinare le barriere che solitamente ostacolano il dialogo tra genitori e figli.
L’accettazione del corpo così come modellato dall’adolescenza, l’alimentazione, l’ansia, l’autostima e l’ascolto sono alcune delle problematiche che vengono raccontate senza la pretesa di rappresentare delle soluzioni dogmatiche.

Gli autori

PREFAZIONE

L’universo adolescenziale è quello più enigmatico, il più incidentato, il più problematico. Non a caso il segmento formativo che maggiormente lo contiene e lo supporta, la scuola media di base, è il rompicapo di ogni processo riformatore. C’è chi lo vorrebbe mantenere nel ciclo unico con la primaria e chi, invece, desidererebbe associarlo a quello superiore, quale cinghia di trasmissione con l’universo giovanile-adulto. Un universo senza identità definita, quindi, un rompicapo che sottende la difficoltà ad imbrigliare il “tumulto adolescenziale” dentro un contenitore formativo che cozza con il vorticoso divenire di questa “età di mezzo”.
Francesca e Peppe Iaconis nel loro libro “Di figlia in padre” cercano di scrutare questo universo mettendo entrambi le mani avanti: il timoniere non è l’autore adulto, ma si tratta di una navigazione condivisa con il protagonista del racconto che, una volta tanto, non delega al “navigato” la gestione della traversata, ma si fa co-gestore del battello. E quest’ultimo condurrà il lettore ad un sicuro approdo, quello di un dialogo a due voci di pari peso che nel labirinto dello status adolescenziale rappresenta il passe-partout per catturare comprensione.
In un momento in cui nella nostra società è, da tempo, tramontata la figura del padre depositario dell’ultima parola e si afferma, sempre di più, la figura paterna guida-testimone per ricercare e dare senso all’esistenza, Francesca invoca un padre che ricerca nella vita come nella scrittura una ragione della sua genitorialità: il giovane oggi non si oppone alla disciplina e il padre non esercita potere, ma attraverso la testimonianza entrambi si fanno cercatori di vie d’uscita da un labirinto esistenziale che è lastricato di inciampi. Si aiutano a vicenda a rialzarsi dalle cadute che, per l’adulto, sono faticose risalite e, per il giovane, inesplorate avventure. Lo scenario che padre e figlia ci proiettano in “Di figlia in padre” è lontano mille miglia da quel “Padre padrone” di Gavino Ledda, un mondo educativo arcaico conosciuto da molti lettori e, in parte, vissuto da papà Giuseppe. Dentro l’opera congiunta dei Nostri c’è solo spazio per padri testimoni. Peppe dinanzi alla figlia si denuda e si misura nel dialogo senza infingimenti, senza nascondere le sue fragilità, che sono di un’intera generazione, ma, soprattutto, senza nascondere il suo passato. Un genitore poco presente e una famiglia tenuta insieme dalla paziente sopportazione materna, infatti, hanno fatto da corollario ad un’esistenza in cui il coautore fatica, persino, “a trovare dei momenti trascorsi insieme a lui (il padre – N.d.R.) a giocare, soli”.
Peppe non si trincera dietro il suo vissuto di figlio e riporta a galla momenti significativi del percorso professionale di insegnante per dare forza alla missione educativa di padre. Si mostra senza protezione nella sua vulnerabilità di uomo che ha vissuto il processo di crescita, prematuramente e necessariamente troppo da personaggio adulto, tra sconfitte e rimpianti. Soprattutto, non tradisce la vera voglia di passare il testimone alla figlia raccontandole, attraverso le tappe di una vita intensa e provata negli affetti, l’approdo fugace alla sua Itaca: “Qualche settimana prima della sua morte (del papà di Peppe – N.d.R.) lo incontrai e trascorsi con lui una mattinata intera”.
È stato in questo tratto breve di approdo finale che il nostro Telemaco ha avuto modo di “esaudire” la sua voglia di vedere il padre sulle sponde di Itaca. È stata veramente troppo breve la durata dell’approdo, per non sentirsi creditore con la vita, ma quanto basta per lenire le sofferenze di un’intera esistenza. Francesca, invece, il suo Ulisse se lo trova quotidianamente accanto, motivo per cui il dialogo è continuo e traccia sulle pagine del libro una parte significativa di questo rapporto. Celebra quasi un traguardo: “Via via che percorrevo i primi passi nel mondo degli adulti mi resi conto che l’adolescenza non rappresentava soltanto il tempo delle inquietudini e dei conflitti, ma anche una grande opportunità per ridare slancio e profondità a una delle relazioni più emozionanti nella vita degli esseri umani: quella tra genitori e figli”.
L’adolescenza, ha ragione Francesca, non è solo il tempo delle inquietudini e dei conflitti, ma è anche, come sostiene George Bernanos, quell’età della “febbre della gioventù che mantiene il resto del mondo alla temperatura normale”. Sta in questa sottile linea di equilibrio unitamente ad una carica di abilità dialogica di scrutarsi e di ritrovarsi, anche, tra i fogli di un libro, la magia realizzata da padre e figlia in “Di figlia in padre”. Un libro che ha l’ambizione, ben riuscita, di correre in soccorso di tanti genitori smarriti nel labirinto dei conflitti generazionali che, invece di mettersi a fianco dei loro figli, scelgono spesso di seguirli a ruota. Un metodo quest’ultimo, al contrario del percorso suggerito da Francesca e Peppe Iaconis, per farsi amare senza pagare dazio e, di fatto, certificando la resa davanti ai doveri genitoriali.
Peppe Iaconis, con il soccorso della figlia Francesca, non cade in questa resa incondizionata di padre iperprotettivo, ma si fa padre-figlio di questo universo smarrito per riallacciare il bandolo di quella matassa lasciata, per troppo tempo, aggrovigliata nell’angolo del suo Io. Con “Di figlia in padre”, infatti, quel bimbo divenuto grande, che sovente rimaneva “desto tutta la notte” a causa di timori mai sopiti, viene finalmente a capo del groviglio esistenziale e dipana la matassa presente sul suo tavolo di lavoro genitoriale, armato di buone leve educative conquistate sul campo.
Da quell’educĕre (trarre, condurre), Peppe Iaconis trova la vera forza di tirare fuori il grimaldello della sua missione di padre e di docente: parlare, attraverso il concorso della figlia, ai papà e alle mamme della nostra generazione smarrita, per capire che dalle macerie della caduta dell’autorità ci si può rialzare ed entrare in empatia con il figlio Telemaco, errante sulle vie di questo mondo intriso di ostacoli. Per farlo Peppe Iaconis ricorre, anche, a scoperchiare il segreto del proprio vissuto con l’umiltà di chi sa di aver conquistato il cuore di chi più gli sta a cuore, soprattutto perché ha maturato, nonostante per età non sia collocabile nel libro dei vecchi, l’insegnamento di Roger Judrin: «Giovani, si è ricchi di ciò che si è; vecchi, si è ricchi di ciò che si ha». Una forte dose di maturità associata alla febbre della gioventù che rende effervescente ogni pagina di “Di figlia in padre”.

Vito Pirruccio

Autore del libro L’emigrazione vista da vicino. Dirigente scolastico
e Presidente dell’Associazione Museo della Scuola “I Care!”.

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