Errori arbitrali e professionismo


Caro direttore,

mi auguro che le mie considerazioni (tra serio e faceto) sul professionismo arbitrale, di seguito riportate, possano trovare spazio nelle pagine della nostra rivista. Ormai da molti anni, settimanalmente, giornalisti, opinionisti, dirigenti di società e calciatori affrontano, sotto la luce dei riflettori delle telecamere e dalle pagine dei quotidiani sportivi, il “grande problema degli errori arbitrali”.
Ed è così che “scopriamo”:
– che il guardalinee colpito con il pallone in testa da un calciatore durante l’effettuazione di una rimessa laterale avrebbe dovuto, in una manciata di secondi, inventarsi una regola, applicarla e, quindi, risolvere un problema non contemplato dal regolamento e dalla guida pratica;
– che il calcio di rigore doveva essere fischiato, poiché le immagini della telecamera posta dietro la porta dimostrano quello che le altre telecamere, sistemate in tribuna e vicino alle panchine, non sono riuscite a cogliere: “la maglietta del calciatore n. 9 si è allungata in seguito alla trattenuta del difensore”;
– che il goal andava annullato in quanto, trasformando le im¬magini televisive in immagini computerizzate e cambiando l’angolo di visuale, si nota che il pallone è entrato totalmente in porta;
– che la rete segnata dal dischetto degli undici metri non è regolare, poiché il calcio d’angolo dal quale è scaturito il rigore è nato da una punizione dubbia decretata dall’arbitro in prossimità del cerchio di centrocampo.
Successivamente, con cronometrica puntualità, vengono rispolverate vecchie immagini, in qualche caso addirittura sbiadite o in bianco e nero, che ci fanno capire come esista una “logica consequenziale” negli errori arbitrali. Così appuriamo, ad esempio, che il goal segnato di testa da Turone in un Juve-Roma di molti anni addietro e quello segnato da Ravanelli nel campionato in corso presentano un’unica chiave di lettura.
Tutto sembra così “mostruosamente” vero e incontestabile; anche perché il montaggio ed il commento alle immagini accusatrici, in qualche caso, sono opera di qualcuno che di arbitraggio se ne dovrebbe intendere, ma che finisce anch’egli, come gli altri, col sottostare alle logiche dell’audience.
Finita la sequenza delle immagini, opinionisti, calciatori e dirigenti, che già ringhiavano a microfono spento, “scendono nell’arena”. Il presentatore tenta di farli parlare uno per volta, ma è difficile che chi ha la parola riesca a terminare il suo intervento poiché, come spesso accade, la sua voce viene “sepolta” dalle urla di chi non la pensa come lui.
Litigano, urlano, si sbracciano, per poco non si picchiano. Poi, quasi tutti, trovano la concordia su un punto: “L’arbitro ha sbagliato”!
Così, i commenti alle vicende calcistiche domenicali sanzionano che qualche squadra è stata defraudata della vittoria, qualche altra ha vinto grazie agli errori arbitrali, ecc.
Ci sarebbe soltanto da ridere se tutto questo non contribuisse ad aumentare tensioni e violenze, non soltanto verbali, tra società sportive, calciatori e, soprattutto, tifoserie…
Poi, improvvisamente, qualcuno propone come “infallibile soluzione” agli errori arbitrali l’ormai sfruttato argomento del professionismo dei direttori di gara. Come se l’arbitro professionista potesse acquistare, con i lauti compensi, anche il dono dell’ubiquità e trovarsi in più punti del terreno di gioco contemporaneamente; proprio come le telecamere della tv pubblica, dei networks privati e delle televisioni locali, sempre a caccia di sviste arbitrali “da dare in pasto agli insaziabili commentatori televisivi”.
Se il professionismo può significare l’eliminazione degli errori, come mai questi “commentatori del giorno dopo” (“superprofessionisti”), senza avere centomila persone intorno che urlano, senza dover decidere in una frazione di secondo, comodamente seduti su una poltrona, di errori ne commettono tanti?
In considerazione di tutto ciò, non si corre il rischio di essere smentiti se si afferma che l’Aia, con il suo dilettantismo non inteso come mancanza di serietà ed impegno nello svolgimento della funzione arbitrale, ma come attività che trova nella pura e semplice pratica sportiva la sua ragion d’essere, è una delle poche componenti del mondo del calcio in cui i valori veri dello sport sono ancora vivi.

Giuseppe Iaconis

Pubblicato nella rubrica lettere della rivista “L’arbitro” – Luglio 1995